SECONDA PARTE

Mondeggi di plastica. Modello realizzato per il progetto di rigenerazione.
Chi, come fecero molti anarchici, criticava queste scelte, fu tacciato di estremismo parolaio e di non riuscire a comprendere come la formalizzazione dei risultati di un conflitto sia preziosa conquista e non un conformarsi alle logiche del potere. Cassandre maledette.
Giuseppe Aiello1

Una vittoria persa

Il 22 Luglio 2021 il Sindaco della Città Metropolitana di Firenze, Dario Nardella, dichiara che la tenuta di Mondeggi resterà di proprietà pubblica e verrà recuperata e ristrutturata con i fondi del PNRR2. La notizia viene accolta dalla Comunità di Mondeggi con un misto di curiosità e preoccupazione, inizialmente senza destare troppo scalpore in una quotidianità resa già densa e difficile dalle ripercussioni della gestione pandemica. Ma facciamo un passo indietro: Mondeggi Bene Comune è storicamente una realtà molto complessa attorno alla quale si sono mescolate tensioni e immaginari spesso diversissimi fra loro. Dall’inizio c’è stato chi riteneva centrale il riconoscimento giuridico (articolato negli anni nella rivendicazione del Bene Comune), chi vedeva questa battaglia come strumentale ad avere una facciata pubblica, chi la viveva in modo totalmente marginale rispetto a una scelta quotidiana di vita rurale. Ciascuno, poi, distribuiva i propri sforzi fra le varie dimensioni del progetto: attività agricola, attività politica in senso stretto, assemblee e processi decisionali, costruzione di comunità, attività culturali e chi più ne ha più ne metta. Mentre l’ambizione di sottrarre la tenuta all’abbandono aveva radunato attorno al progetto molti abitanti dei paesi vicini e della città di Firenze, l’azione diretta dell’occupazione delle terre ispirava e richiamava a Mondeggi una componente giovane e militante proveniente dalla galassia del movimento antagonista, creando uno strano, meraviglioso e fragile equilibrio.

La Comunità di Mondeggi si struttura così come un grande contenitore, in cui succede un po’ di tutto, e per anni la cosa sembra (in parte) funzionare. Mentre intorno a un falò riecheggiano canti anarchici anticlericali, c’è chi racconta il progetto nientemeno che al Papa3. La Comunità si muove su piani anche molto diversi e ciascuno può scegliere a cosa dedicare le proprie energie. Mediamente le proposte vengono accolte senza grandi dibattiti, che sia l’organizzazione di un evento o una nuova autoproduzione, chi ha voglia di fare trova quasi sempre spazio. Questa modalità viene applicata non solo nell’ordinaria amministrazione della Fattoria Senza Padroni ma anche quando si tratta di immaginare insieme una visione a lungo termine o di affrontare questioni di fondo sulla direzione del progetto, in parte sull’onda di un approccio emergenziale che non lascia molto spazio a discorsi meno pragmatici, in parte per la paura che definire una visione più precisa significhi creare scontri e divisioni.

Questo è il contesto in cui arriva l’annuncio di Nardella: l’assenza di dibattito interno e il momento difficile in cui versa la Fattoria Senza Padroni portano a sottovalutare l’evento. Pubblicamente Mondeggi Bene Comune si dichiara disponibile al dialogo, ma dalla Città Metropolitana non si avranno notizie per sei mesi. Nel frattempo una parte della Comunità si attiva, elaborando una proposta di progetto per il futuro della tenuta. Invitati formalmente alla presentazione di questo documento nel dicembre 2021 i politici non si presentano ma inviano dei tecnici in borghese.

A Gennaio 2022 spuntano due squadre di progettisti delle Facoltà di Architettura ed Economia dell’Università di Firenze, incaricate di redigere un progetto di fattibilità tecnico-economica da inoltrare entro metà marzo al Ministero competente. I progettisti chiedono a Mondeggi Bene Comune di contribuire fornendo informazioni sulle attività e l’organizzazione attuali, che gli serviranno a elaborare una vision (sic) della Mondeggi 4.0. A capo dei progettisti c’è Mario Biggeri, ordinario dell’Università di Firenze, economista esperto di impresa sociale e sviluppo sostenibile, fulgido esempio di quella classe di intellettuali impegnati a conciliare il mantenimento dell’attuale ordine politico ed economico con le istanze di cambiamento sociale. Continua a ripetere che lui è come noi, che è dalla nostra parte, senza convincere nessuno. Mentre alcuni storcono il naso, altri si lasciano prendere dall’entusiasmo di progettare attività agricole con disponibilità economiche mai nemmeno immaginate.

Fin dall’inizio emergono perplessità rispetto alla faccenda nel suo complesso: è davvero possibile conciliare gli obiettivi e le pratiche dal basso di Mondeggi Bene Comune (l’autogestione, l’autodeterminazione alimentare, la vita contadina e di comunità) con la valanga di soldi che sta per piovere dall’Europa? È opportuno condividere le preziose conoscenze raccolte negli anni sul territorio con gli ingegneri del cambiamento sociale? La rinuncia alla vendita della tenuta di Mondeggi da parte della Città Metropolitana appare necessariamente vincolata all’intercettazione di questo finanziamento: possiamo davvero considerarla una vittoria? Se il rischio di sussunzione del proprio linguaggio e delle proprie battaglie in un progetto calato dall’alto è lampante, in molti sembrano convinti di poter contaminare con le proprie pratiche i piani del potere. Il poco allenamento ad affrontare questioni politiche divisive, l’occhio poco propenso ad analizzare le dinamiche di potere interne, la tendenza al laissez-faire e le tempistiche molto strette richieste dal PNRR fanno si che le perplessità finiscano in fondo alla lista delle priorità.

Così si procede in assenza di una strategia politica complessiva e condivisa: chi ha voglia di fare va avanti e non poche energie interne alla Comunità si muovono nell’ottica della collaborazione, mentre chi è contrario spesso si limita a non dare il proprio contributo. «C’è poco tempo e bisogna sognare in grande, poi valuteremo», questo il mantra che accompagna le assemblee di questi mesi. Intanto la Città Metropolitana è completamente assente, Mondeggi Bene Comune si interfaccia solo coi progettisti e di garanzie sul ruolo della Comunità nella gestione futura del bene neanche l’ombra.

Si scopre intanto che il progetto è in realtà composto da due parti. La prima parte, riguardante le ristrutturazioni, procede spedita e senza impedimenti verso Roma a garantirsi i fondi del PNRR. La seconda parte, riguardante la governance e l’utilizzo delle case e dei terreni, che diventerà nota come il “documento Biggeri”, si incaglia nelle sale di Palazzo Vecchio. In tutto questo non suscita grande scalpore il fatto che questa seconda parte, resa possibile dalla collaborazione di parte della Comunità di Mondeggi, non viene resa pubblica. E comunque (a quanto si scopre con un ritardo forse non casuale) non è vincolante ma contiene dei suggerimenti. Mentre la parte riguardante le ristrutturazioni procederà per bandi e gare d’appalto, la parte gestionale viene rimandata a una non meglio specificata co-progettazione. Attraverso questo processo Mondeggi Bene Comune (previa costituzione in un ente giuridicamente riconosciuto) insieme alla Città Metropolitana, ai progettisti e ad altri portatori di interessi dovrebbe discutere della configurazione futura della tenuta. Accolta con un certo sollievo in quanto alternativa all’assegnazione via bando, la co-progettazione rimane quantomai elusiva: l’inizio annunciato per ottobre 2022 è, a maggio 2024, ancora rimandato. Solo a fine maggio 2022, quando avverrà l’approvazione del “documento Biggeri” da parte del Sindaco metropolitano Nardella, Mondeggi Bene Comune ne riceve una sintesi in 18 slide (il progetto nel dettaglio, ben più corposo, non poteva ancora essere visionato, perchè doveva essere votato dal Consiglio Metropolitano). Nelle slide viene spiegato che Mondeggi dovrà essere aperta e inclusiva, ambiziosa, concreta, generativa, resiliente, innovativa, integrata, conforme (testuali parole). Nel calderone delle sue linee progettuali, la salvaguardia dell’agricoltura biologica e la condivisione del sapere contadino compaiono fianco a fianco all’accelerazione di impresa sociale, all’agri-tech, alla fibra ottica, all’agriturismo etico e alla formazione di funzionari pubblici. Diventa inoltre chiaro che la Città Metropolitana non ha la minima intenzione di continuare a finanziare le varie attività di tasca propria dopo la fine della riqualificazione. Il documento si conclude con quattro condizioni: alla Comunità viene chiesto di aderire alle linee progettuali elaborate dai tecnici; di rinunciare a un protagonismo esclusivo aprendosi alla collaborazione con tutti i soggetti che verranno coinvolti nella co-progettazione (atenei, associazioni, cooperative…); smetterla di intraprendere azioni illegali (in riferimento all’occupazione temporanea dei giardini della Villa, di cui parleremo fra poco); dotarsi di una forma giuridica per poter partecipare alla co-progettazione.

Non poche persone rilevano le criticità di quanto delineato nel documento Biggeri: mercificazione dell’attività agricola, limitata autonomia organizzativa, obbligo di messa a reddito del bene, burocrazia, permessi, canoni locativi, gestione condivisa col Partito Democratico, la ben evidente complicità nello sperpero di soldi pubblici… ce n’è più che a sufficienza per vederci il rischio di snaturare la Fattoria Senza Padroni. C’è anche chi ci vede la volontà premeditata della Città Metropolitana di creare le condizioni affinché la Comunità si divida e si indebolisca. Nel frattempo, altri si dicono soddisfatti che Mondeggi Bene Comune sia riuscita a inserire nel documento Biggeri i propri valori e le proprie indicazioni sugli aspetti agricoli (come ad esempio la realizzazione di invasi e di un frantoio). In questa prospettiva si mescolano il desiderio di un riconoscimento istituzionale, il sincero entusiasmo per la rinuncia alla vendita della tenuta da parte della Città Metropolitana, la fiducia nel fatto di riuscire a contaminare il processo in modo da ricavarne il miglior risultato possibile e la stanchezza della precarietà di una vita in occupazione. Giocano un ruolo anche la sensazione che un rinnovamento dell’assetto della Fattoria Senza Padroni sarebbe stato comunque necessario, e l’idea che una Mondeggi legale sia conquistata una volta per tutte e che possa diventare una roccaforte per i movimenti di trasformazione sociale e una risorsa per i contadini della zona.

Su una cosa in molti concordano: che la Città Metropolitana abbia sostanzialmente due obiettivi, ottenere gli ingenti fondi del PNRR e togliersi dalla scarpa il sassolino dell’occupazione abusiva. Un’altra impressione condivisa è che la Città Metropolitana non abbia affatto le idee chiare su cosa farsene della tenuta, oltre a spendere l’opera di riqualificazione sul piano elettorale facendone il fiore all’occhiello della propria amministrazione illuminata, green e socialmente inclusiva. Alla parte agricola, quindi ai terreni (circa 170 ettari), non sembra molto interessata. Da queste considerazioni prende le mosse la visione secondo cui sarebbe possibile garantirsi, all’interno del progetto di riqualificazione, gli spazi di autonomia per continuare a fare le cose più o meno come prima. Pur senza farsi illusioni sui reali intenti della politica cittadina, si vede in questi sviluppi anche la possibilità di ottenere dei benefici. Se molti sono preoccupati che il PD vorrà esercitare una qualche forma di controllo sulla gestione futura, altri ripetono che c’è ancora tutta una partita da giocare.

Così da gennaio a maggio 2022 prevale un atteggiamento accondiscendente, che si prefigge di non alzare inutilmente il conflitto con le istituzioni. La continua mancanza di chiarezza, trasparenza e comunicazione di progettisti e amministratori metropolitani viene di fatto tollerata. Dopo un primo incontro fra progettisti incaricati e delegati della Fattoria Senza Padroni, a cui assistono diversi membri della Comunità, i progettisti fanno sapere che non amano il confronto allargato e da allora gli incontri si svolgeranno solo con alcuni delegati. Convocata finalmente dalla Città Metropolitana, Mondeggi Bene Comune proverà a far valere le proprie ragioni e a sollevare i propri dubbi in dialoghi a porte chiuse che si svolgono nei palazzi della politica fiorentina. Chi pensava che «se Nardella ci vuole parlare deve venire alla nostra assemblea» rimane deluso e deve accontentarsi dei resoconti che i delegati riporteranno di volta in volta.

Assemblea nel giardino della Villa medicea, occupato in occasione del lancio del progetto Università della Terra, maggio 2022.

Anche qui ci troviamo di fronte a problemi già ampiamente noti. Facciamo un passo indietro: la gestione della Fattoria si regge su due assemblee, quella di Presidio e quella di Comitato. In teoria, la prima, partecipata dagli occupanti, è di carattere organizzativo e si occupa delle attività agricole e della custodia quotidiana della tenuta, mentre la seconda è il vero organo politico. In pratica, però, per anni quella di Presidio è l’assemblea trainante, quella che imprime al progetto la propria direzione. Qui si confronta a stretto giro chi ha scelto di dedicare alla Fattoria Senza Padroni la quasi totalità delle proprie energie e gestisce da vicino l’insieme complesso di attività agricole, mercati, eventi pubblici, attività politica. Le assemblee di Comitato, che coinvolgono persone del territorio, attraversano periodi di scarsa partecipazione e spesso si limitano ad approvare le proposte del Presidio o ad apportarvi minime modifiche. Inoltre, se fin dall’inizio della sua storia Mondeggi Bene Comune ha scelto il Metodo del Consenso come metodo decisionale, è difficile sostenere che sia riuscita ad applicarlo con successo. Nel corso del tempo molte voci hanno sostenuto che l’orizzontalità non fosse veramente una priorità di tutti i partecipanti e che non si dedicasse abbastanza tempo e cura ai processi decisionali. Addirittura, c’era chi sospettava che il Metodo del Consenso contribuisse a legittimare Mondeggi Bene Comune presso gli ambienti di movimento e anti-autoritari, pur mancando una sincera volontà di condivisione del potere. Questo ha fatto sì che spesso nella storia comunitaria le posizioni dominanti non siano state né quelle consensualmente prese in assemblea, né quelle espresse da una maggioranza ma semplicemente quelle sostenute da alcuni presidianti — soprattutto uomini — di vecchia data. La maggioranza delle persone che si sono trovate a essere portatrici di critiche e contrarietà a questo stato di fatto o a singole decisioni prese attraverso questi meccanismi si è nel tempo allontanata. Altre volte chi si è assunto la responsabilità di esprimere la propria posizione e provare a innescare cambiamenti interni si è trovato a subire pressioni e aggressioni, spesso nell’assordante silenzio del resto del gruppo. È interessante inoltre sottolineare come in moltissime situazioni le voci critiche o contrarie non rappresentavano una minoranza all’interno della Comunità, piuttosto una maggioranza marginalizzata. Questo stato di cose ha creato la situazione perfetta perché si strutturassero gerarchie informali durature nel tempo.

Sono così emerse figure di spicco che, armate di carisma e ambizioni politiche ma spesso con poca sensibilità nei confronti dell’orizzontalità, muovendosi tra i due organi decisionali, hanno saputo imprimere con forza la loro direzione al progetto. Queste gerarchie si ripropongono anche nella contrattazione con le istituzioni: alcuni esponenti della Comunità diventano gli interlocutori a cui i politici metropolitani si rivolgono anche telefonicamente in caso di aggiornamenti o comunicazioni, prestandosi più o meno ingenuamente a una modalità di politica di palazzo estranea al processo assembleare collettivo. Solo dopo un po’ si avrà la premura di assicurare una rotazione degli incaricati al dialogo metropolitano.

Temporaneamente, emerge la volontà di recuparare la centralità della Comunità e la sua capacità di mobilitazione come protagoniste della storia di Mondeggi. In quest’ottica viene organizzata a maggio 2022 una due giorni per lanciare il progetto dell’Università della Terra nel giardino della Villa (parte della tenuta che non era mai stata “violata” dagli occupanti), uno strappo rispetto all’atteggiamento passivo e collaborativo tenuto nel confronto coi tecnici e i politici. La controparte metropolitana, per tutta risposta, insedia una ditta di sorveglianza che piantonerà la Villa per vari mesi a seguire e vincola la co-progettazione alla richiesta di smettere di compiere atti illegali che «creano difficoltà al percorso comune», presentata nel documento Biggeri. A causa della volontà di parte della Comunità di non indispettire troppo la Città Metropolitana e di una certa incapacità di sostenere uno sforzo mobilitativo, questa iniziativa non trova continuità.

Continua a mancare chiarezza su quali compromessi si è disposti consensualmente ad accettare e quali no, e la definizione di punti non negoziabili man mano sparisce dall’ordine del giorno. Le ragioni dei favorevoli e semi-favorevoli sono distribuite su vari gruppi di lavoro, tra cui si decide in maniera abbastanza confusa e frettolosa di dare priorità alla stesura di uno statuto da APS (Associazione di Promozione Sociale). Un confronto sulle implicazioni politiche di questo passaggio e dei modi in cui può essere affrontato viene costantemente rimandato, anche a causa dei ritmi dell’interlocuzione con le istituzioni, che si svolge in un’alternanza di accelerazioni improvvise e lunghi silenzi. I vari passaggi dell’iter burocratico impongono a tecnici e amministratori metropolitani una serie di scadenze per l’elaborazione e la realizzazione delle varie fasi del progetto, pena la perdita dei finanziamenti. L’assemblea si trova spesso travolta dal clima di emergenzialità imposto dall’esterno e accetta di procedere a un passo forzato che poco si addice ai tempi della Comunità.

L’inizio dei cantieri nella Villa.

In questo periodo, parallelamente agli sviluppi interni, si assiste a una trasformazione nei rapporti di alleanza con le realtà politiche e le associazioni vicine. Negli anni, tanta dell’attività politica della Fattoria si è collocata nel solco del movimento per l’autodeterminazione alimentare di Genuino Clandestino. L’adesione di Mondeggi Bene Comune al progetto di riqualificazione, con i suoi investimenti milionari, greenwashing e agricoltura 4.0 (in evidente contrasto coi princìpi di agricoltura contadina che animano il movimento) suscita reazioni diverse anche all’interno del nodo fiorentino, nonché a livello nazionale. La scarsa capacità da parte della Fattoria Senza Padroni di coinvolgere Genuino Clandestino in questo passaggio e la tendenza a evitare temi divisivi (presente anche nel movimento contadino sia a livello locale che nazionale), porta a una mancanza di confronto sulle implicazioni politiche di questa svolta, se non nelle chiacchiere tra affini al bar o al mercato. Tutto si gioca ancora una volta solo a livello personale e informale: alcune figure del nodo fiorentino si allontanano dalla Fattoria Senza Padroni, mentre altre guardano con interesse agli sviluppi in atto. Nel complesso si raffreddano i rapporti con gli alleati provenienti dal mondo contadino e militante, mentre inizia a prendere forma una cordata di alleanze più o meno strumentali o tattiche con realtà associative del territorio (alcune delle quali da sempre vicine a Mondeggi Bene Comune, altre tirate in mezzo all’ultimo minuto). Lo scopo sarebbe quello di arrivare alla co-progettazione con un progetto già elaborato assieme alle associazioni coinvolte ed «egemonizzarla».

Nei mesi estivi del 2022 mancano di fatto novità da parte delle istituzioni ma la Comunità è impegnata in una frenesia di assemblee e gruppi di lavoro. Man mano, la divisione si indurisce, quelli che fino a maggio erano una serie di posizionamenti estremamente sfaccettati adesso appaiono come due schieramenti in netta contrapposizione. Mentre gli ottimisti e i possibilisti si appiattiscono sulle necessità del fare, inseguendo i tempi del PNRR, i contrari si disperdono tra rabbia e sconforto. Ben più facile cavalcare l’emergenzialità che tirare il freno per affrontare alla radice discorsi politici sui quali mancano da anni accordi di base. Le posizioni si ripiegano su loro stesse autolegittimandosi sempre di più: la miccia è sempre più corta.

A settembre 2022 si tiene una concitata assemblea di Comitato: dopo una serie di interventi che si scagliano senza mezzi termini contro il processo di legalizzazione e contro il PNRR, diventa chiaro anche ai più distratti frequentatori dell’assemblea che numerosi membri della Comunità, soprattutto presidianti, sono del tutto contrari a questo percorso e sono sull’orlo di abbandonare il progetto. Per la prima volta il coro di voci contrarie trova l’unisono e sembra che il treno della rigenerazione lanciato in piena corsa, possa incontrare un ostacolo. Le reazioni non sono delle migliori: qualcuno accusa i contrari di idealismo e ostruzionismo, qualcun altro cade dal pero, i paladini della realpolitik ribadiscono che i rapporti di forza sono totalmente svantaggiosi e che il rifiuto del percorso di legalizzazione proposto costerebbe caro in termini di consenso popolare. Alcuni puntano sul ricatto emotivo: opporsi alla riqualificazione equivarrebbe a mandare in fumo una grande occasione, addirittura a distruggere una comunità.

Una delle storiche battaglie della Comunità di Mondeggi aveva come obiettivo il riconoscimento come Bene Comune. Questa rivendicazione, che pure presuppone una richiesta di legittimazione formale da parte delle istituzioni, si pone nell’ottica di forzare il diritto esistente, cercando di adattarlo alle esigenze di autodeterminazione e gestione collettiva di spazi urbani e territori. L’istanza del Bene Comune contiene una critica alla proprietà privata e pubblica come uniche forme di rapporto con i nostri ambienti di vita, rivendicando una forma giuridica ad hoc in cui le comunità locali sono le legittime custodi di territori e risorse, recuperando, riattualizandole, le forme storiche di gestione comunitaria. La legalizzazione prevista dal progetto di riqualificazione, invece, rientra nella cornice del terzo settore dell’attuale ordinamento giuridico4.

Accettando questo percorso si abbandona implicitamente l’orizzonte del Bene Comune, che finora era stato in grado di tenere insieme le varie anime della Comunità. Nella retorica degli ottimisti, la legalizzazione vincolata al PNRR rappresenta uno sviluppo in linea con la battaglia storica per il riconoscimento di Mondeggi come Bene Comune, banalizzando il dibattito e rendendo estremamente difficoltoso articolare qualsiasi tipo di analisi. Le voci critiche a questa legalizzazione e al PNRR iniziano a venire tacciate di irresponsabilità, ideologismo e di essere aprioristicamente contro la legalizzazione tout court (ricordiamo che la costellazione degli scettici è variegata e non illegalista in senso stretto). Si consolida la narrazione secondo cui il rifiuto di collaborare con la Città Metropolitana, nei termini che venivano proposti, avrebbe condotto inevitabilmente allo sgombero (una visione altrettanto ideologica e aprioristica di certe critiche). In generale, manca un lavoro di studio che permetta una presa di consapevolezza collettiva delle implicazioni politiche del PNRR, col risultato che per molti l’origine dei finanziamenti non diventa dirimente rispetto alla possibilità di riconoscimento istituzionale. Ogni tentativo di immaginare possibilità di interagire con le istituzioni al di fuori dell’accondiscendenza viene paralizzato, si deteriorano i legami comunitari e si aprono ferite che ancora faticano a rimarginarsi.

Nei mesi autunnali, assistiamo a un debole tentativo di formulare una strategia politica “a doppio binario”, che continui a esplorare il dialogo con le istituzioni tenendo però una linea più combattiva e provando a ottenere garanzie sulla futura gestione della tenuta. Questa progettualità, che provava a conciliare le diverse anime della Comunità, riesce ad andare poco oltre iniziative individuali che risultano scoordinate e poco incisive. Quando a ottobre gli occupanti si oppongono all’ingresso nelle case coloniche di architetti e tecnici metropolitani, Mondeggi Bene Comune viene convocato dalla Città Metropolitana ad un incontro. L’assemblea invia i suoi delegati e chiama un presidio sotto Palazzo Vecchio. I politici mettono pressione affinché vengano fatti entrare tecnici e architetti: c’è estrema fretta e il mancato ingresso potrebbe far saltare la riuscita di tutto il progetto. Gli architetti vengono fatti entrare nelle case e i successivi incontri con Città Metropolitana saranno principalmente confronti sulla parte tecnica del progetto (ristrutturazioni, laboratori, progetti agricoli), ai quali Mondeggi Bene Comune collabora mobilitando contatti e conoscenze.

Assemblea plenaria dell’incontro di Genuino Clandestino, occasione mancata di discutere assieme del futuro della Fattoria, ottobre 2022.

A ottobre 2022, nel pieno del conflitto in seno alla Comunità, viene chiesto un aiuto esterno per la facilitazione del processo assembleare. La squadra di facilitatori e facilitatrici è guidata dal carismatico Delfino, fondatore di una scuola di facilitazione in Italia, approdato al mondo degli ecovillaggi dopo anni di militanza nel movimento anarchico. Il percorso di accompagnamento si protrae fino a dicembre, culminando in due intense giornate di confronto interno. Di fronte a un gruppo che fa quadrato intorno alla necessità di proseguire il dialogo con le istituzioni e a una galassia di voci critiche ormai stremate, l’intervento di facilitazione non fa altro che sancire l’ormai avvenuta vittoria di una parte della Comunità sull’altra. Il percorso di legalizzazione è ormai inevitabile e sembra normale che chi non è d’accordo se ne vada.

Il fatto che Mondeggi Bene Comune stia compiendo una scelta epocale (sia per il suo significato politico che per le enormi conseguenze che realisticamente avrà sul futuro della Fattoria) senza il consenso di buona parte della Comunità non sembra impensierire i facilitatori, che finiscono per avallare la strada tracciata dalle istituzioni metropolitane e, internamente, dai membri più anziani e influenti del gruppo, adeguandosi alla dinamica emergenziale in cui tempi ed esigenze comunitari sono sacrificabili alle necessità del dialogo istituzionale. Paradossalmente, il processo di facilitazione supporta e invisibilizza le asimmetrie di potere interne. Allontanate le voci critiche, facilitatori e facilitatrici guidano la parte di assemblea superstite in un percorso di revisione dei processi decisionali, poi prontamente sbandierato sulla pagina facebook di Mondeggi Bene Comune (una interpretazione originale del Metodo del Consenso in cui sul consenso si lavora dopo che tutti i dissidenti sono stati gentilmente accompagnati alla porta).

Il nostro racconto si conclude qui, a dicembre 2022. Non proseguiamo oltre dato che da allora la nostra partecipazione alla vita della Comunità si è drasticamente ridotta. Un ultimo episodio che ricordiamo riguarda la creazione dell’associazione necessaria al dialogo con le istituzioni. Alcuni chiedono che il nome dell’APS escluda almeno, per onestà, la dicitura di Fattoria Senza Padroni. A questo tentativo di sottolineare l’enorme portata del cambiamento d’identità in corso, i favorevoli alla legalizzazione si oppongono: non vorrebbero abbandonare la bandiera che li ha condotti fino a questo punto della storia. Ironicamente, la stessa richiesta viene fatta il giorno successivo dalla Città Metropolitana ma per motivazioni diverse: Fattoria Senza Padroni è un’espressione «troppo forte» per relazionarsi con l’ente e figurerebbe male in futuri accordi ufficiali. Questa volta la cosa non sembra destare polemiche e la dicitura viene eliminata dal nome dell’APS, ma tuttora è utilizzata senza problemi dall’attuale Mondeggi Bene Comune in una narrazione pubblica che continua a cavalcare con ambiguità un percorso politico ormai concluso. Il peso delle parole, però, è dato dai fatti che esse indicano. Che lo si ammetta o meno, a Mondeggi, adesso, sono tornati i padroni.

Epilogo

Mondeggi il tuo governo schiavo d’altrui si rende
ai soldi dell’Europa i suoi principi svende
e insulta la leggenda dell’autogestion
5

Abbiamo voluto raccontare questa storia perché speriamo che la nostra esperienza e le nostre riflessioni possano essere utili ad affinare i pensieri e le pratiche in una fase in cui scarseggiano sia le energie che le capacità di analisi del presente. La nostra critica alla scelta di Mondeggi Bene Comune di diventare il fiore all’occhiello dell’amministrazione fiorentina green e inclusiva non nasce dal nostro amore per la polemica ma dalla nostra ostinazione a chiamare le cose con il loro nome. Se a volte possono esserci compromessi da fare o rapporti di forza sfavorevoli da accettare, queste scelte non possono essere festeggiate come vittorie, né rivendicate come passaggi di una lotta radicale. Anche a costo di non farci bella figura, l’onestà verso noi stessi, verso le nostre comunità e verso il mondo che vogliamo difendere non è sacrificabile. Pubblicamente, Mondeggi Bene Comune si è spesso richiamata a un immaginario radicale e militante e questo ha avvicinato moltissime persone che, con la generosità e il disinteresse personale che solo i grandi ideali sanno dare, si sono spese per far vivere e crescere questo progetto. Per otto anni, però, una pressione costante da parte delle personalità più influenti del gruppo ha impedito di definire le linee condivise e la progettualità politica. La giustificazione fornita era che definire una visione comune del futuro di Mondeggi avrebbe significato creare divisioni e allontanare una parte della Comunità. Con 50 milioni di euro sul piatto e la promessa della legalizzazione, queste preoccupazioni (o scuse) sono improvvisamente svanite. Il risultato è che senza discussione politica, senza nessun tentativo di elaborare proposte che tenessero insieme le diverse visioni, chi non ha voluto accettare la posizione dominante ha lasciato casa, terra e Comunità. Il fatto che non ci sia attualmente una chiarezza sulla svolta della Fattoria, che ancora si mobiliti un immaginario volto a guadagnarsi il supporto di una componente militante e anticapitalista (per poi, all’occorrenza, sbarazzarsene) è una delle motivazioni principali che ci spingono a dedicare ancora tempo ed energie a questa triste storia.

Le oche di Mondeggi. Foto di Corentin Schimel.

Quello che è successo a Mondeggi è stato possibile grazie a una serie di dinamiche interne su cui vogliamo concentrarci perché crediamo che queste siano comuni a tante esperienze di lotta e autogestione e che contribuiscano alla riproduzione dello status quo e delle strutture di potere attuali. Come abbiamo raccontato, al momento dell’esacerbarsi del conflitto in seno alla Comunità, il confronto si è appiattito su una dicotomia fittizia e strumentale. Da un lato persone serie, realiste e lavoratrici, favorevoli a un compromesso ragionevole; dall’altro, riottose anarchiche intransigenti e freakkettoni utopisti. Questa visione dicotomica e banalizzante è stata utile solamente a disperdere una buona dose di energie: invece di immaginare collettivamente delle soluzioni alternative e creative (talvolta rischiose ma ricche di possibilità) è stato perso moltissimo tempo litigandosi le proprie ragioni, spesso e volentieri preconcette. Contemporaneamente, si è evitato di affrontare la portata politica delle scelte che si stavano compiendo: ne è un esempio la totale assenza di confronto sulla differenza tra una legalizzazione nella cornice del terzo settore e la rivendicazione del riconoscimento come Bene Comune (pur con i suoi limiti). Questa polarizzazione è stata alimentata da tutte le parti in gioco che, assumendo dei comportamenti che appartengono a una cultura relazionale e politica problematica, hanno riprodotto dinamiche sistemiche oppressive anche nella piccola scala delle nostre relazioni personali.

Da parte di chi si trovava a occupare posizioni critiche nei confronti della svolta in atto e/o ruoli marginali all’interno della struttura di potere informale della Comunità, è emersa una tendenza costante al disimpegno, una difficoltà mai risolta ad esprimere chiaramente le proprie posizioni e a compattarsi attorno a questioni cruciali. Tra queste persone, alcune si trovavano a occupare questo tipo di posizionamenti perché non si riconoscono in una modalità di fare politica che prevede lo scontro assembleare per far vincere la propria idea, tanto urlandosi contro quanto armati della migliore retorica. Altri si trovavano a occupare questi ruoli perché portatori di idee e visioni non allineate a quelle del gruppo forte, altri ancora perchè incarnano posizionamenti già socialmente marginalizzati (ad esempio, nella storia di Mondeggi la suddivisione interna dei lavori, delle attività e dei ruoli ha spesso ricalcato le classiche divisioni di genere, rendendo estremamente difficile per le donne, le persone non binarie, gli uomini che non esprimevano una mascolinità forte e virile, occupare ruoli di potere o anche solo farsi riconoscere competenze in campi tradizionalmente assegnati agli uomini “veri”). Queste persone, nella maggior parte dei casi, hanno evitato di agire il proprio potere, preferendo spesso rimanere in silenzio o esprimere il proprio dissenso attraverso la diserzione. Anche le persone meno insofferenti a certe modalità di presa delle decisioni, che si sono trovate nel tempo a occupare posizioni centrali nella struttura di potere della Comunità, dal momento in cui si sono distanziate dalla linea del gruppo forte hanno scelto di allontanarsi più o meno silenziandosi o affrontando le questioni su un piano individuale. Il silenzio di questa parte della Comunità è risultato ancora più assordante perché la prassi del gruppo forte è stata quella di denigrare, screditare, ignorare e aggredire chi ha espresso le proprie critiche alla posizione dominante o alle modalità di presa delle decisioni. Anche persone che hanno vissuto e animato a lungo Mondeggi, alcune delle quali spendendo quasi dieci anni di vita per costruire cantine, arare i campi, ristrutturare case e tantissimo altro sono state vittime di questi atteggiamenti.

I meccanismi di screditamento o aggressività nei confronti di posizionamenti minoritari che abbiamo descritto non si verificano solo a Mondeggi e costellano spesso una dinamica di abuso di potere. Vanno necessariamente interrotti se tra gli obiettivi del gruppo ci sono l’orizzontalità e la consensualità nella presa delle decisioni. Va tenuto a mente che farlo vuol dire porsi in contrapposizione a una struttura di potere consolidata e non è qualcosa che può essere chiesto solamente a chi in quel momento sta subendo l’aggressione o la denigrazione e che già ha scelto di esporsi. Non ci si può nemmeno aspettare che chi in un dato momento occupa certe posizioni o agisce certi comportamenti ne prenda consapevolezza e li interrompa di propria iniziativa, così come è evidente che una risposta corale porti al rafforzamento della percezione dei due schieramenti e all’esacerbarsi delle dinamiche di conflitto. Come uscire da questo impasse? Come si fa quando si occupano posizioni marginali in un gruppo ad interrompere dinamiche di abuso di potere? Questa è sicuramente una di quelle domande a cui speravamo che l’intervento della squadra di facilitazione potesse dare delle risposte diverse che non fossero l’inevitabilità dell’allontanamento di chi non si allineava. Ci sono stati episodi in cui queste dinamiche sono avvenute sotto agli occhi di chi facilitava ma non sono state nè colte nè problematizzate. È plausibile che queste criticità abbiano a che fare con la visione apolitica del cambiamento sociale che è spesso il retroterra ideologico degli ambienti di facilitazione, una visione in cui le rivoluzioni possono “materializzarsi” e diffondersi a macchia d’olio evitando il conflitto con Stato e capitale, senza una lettura materialista della realtà e dei rapporti di forza. Da questa ideologia delle “rivoluzioni gentili”6 è derivata, a nostro avviso, una doppia incapacità del team di facilitazione: da un lato, quella di leggere nella riqualificazione di Mondeggi un cambiamento non di forma ma di sostanza, dall’altro l’incapacità di leggere le varie articolazioni di potere interne alla comunità.

È interessante anche osservare quanto spesso è stato chiesto a chi ha espresso posizionamenti critici o marginali di proporre alternative che tenessero conto di tutto il resto del gruppo. È importante portare le proprie critiche in modo costruttivo e proporre alternative a una decisione con cui non si è d’accordo; ciononostante in presenza di abusi di potere, linee di privilegio e marginalizzazione all’interno di gruppi con obiettivi di trasformazione anticapitalista dell’esistente, ci sono anche altri fattori di cui tenere conto. Il primo è che, riprodurre ciò che è noto è più semplice che percorrere strade poco conosciute. L’utopia rivoluzionaria, l’eresia che apre nuove visioni sul futuro, non possono che definirsi per mancanza, per assenza e non possono che confrontarsi con tutta l’ostilità e i tentativi di repressione che il loro stesso emergere provoca all’interno di quel sistema che strutturalmente li esclude. Il secondo è che chiedere ai margini di proporre alternative buone per l’insieme della società equivale a porre loro una condizione di impossibilità, essendo che l’insieme stesso della società funziona precisamente in modo che essi non possano esistere se non, appunto, come margini. In alcuni casi non ci sono alternative da proporre, c’è semplicemente un chiaro “no!” da saper dire.

Una considerazione che ci sentiamo di condividere è che non affrontare di petto le questioni politiche crea confusione, porta a non mettere in discussione le dinamiche interne e finisce per favorire l’emergere di figure di potere, gerarchie informali, esclusioni e marginalizzazioni implicite. Non è evitando il confronto e il conflitto che si evita di dividersi. Costruire eterogeneità non può voler dire prescindere da un’analisi politica delle condizioni materiali, economiche, sociali e ambientali del mondo in cui abitiamo e delle scelte che facciamo nel nostro piccolo. Evitare di discutere non ci permetterà di costruire gruppi determinati, solidi e capaci di avanzamenti politici significativi ma ci porterà a escludere le componenti radicali e minoritarie, già marginali, riproducendo in modo frattale7 delle dinamiche sistemiche. Ricercare e darci la libertà di sperimentare strumenti per attraversare assieme i conflitti è responsabilità di tutti, qualsiasi sia la posizione specifica che di volta in volta ci troviamo a occupare nei gruppi, nelle comunità e nei collettivi. Crediamo che l’eterogeneità, l’orizzontalità e l’uscita da una visione dicotomica siano passi necessari alla costruzione di un futuro diverso dall’incubo che vediamo quotidianamente avanzare. Una delle domande urgenti che emergono è come rimanere uniti e complici riuscendo davvero a legittimare, dare spazio e moltiplicare i modi di stare al mondo, le visioni, le pratiche, le lotte, le resistenze.

 

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1. Giuseppe Aiello, Raffaele Paura, Quale deserto Fegato. Note disordinate sulla (irresistibile) ascesa del benecomunismo napoletano e sulla possibilità di costruire comunità dal basso, La Fiaccola, Ragusa 2020.

4. Per una riflessione più ampia sull’intreccio tra Beni Comuni e terzo settore ad altre latitudini: https://radioblackout.org/podcast/macerie-su-macerie-podcast-26-01-2024-beni-comuni-il-paradigma-di-una-societa-in-crisi/

5. Sulle note di Addio Lugano Bella, versione rivisitata da alcuni ex presidianti.

6. Aude Vidal, Egologia, Edizioni Malamente, Urbino 2024.

7. La frattalità è un concetto geometrico con applicazioni in ambito naturalistico, sociologico, filosofico. Un frattale, a qualunque scala lo si osservi, presenta sempre lo stesso rapporto tra le parti: per esempio in un cavolo romano la parte rispecchia il tutto e viceversa.