PRIMA PARTE

Veduta delle colline intorno alla tenuta. Foto di Corentin Schimel.
È una giornata di orgoglio per il nostro paese. Abbiamo messo insieme un piano di riforme ambizioso, un piano di investimenti che punta a rendere il nostro paese, l’Italia, un paese più giusto, più competitivo, e più sostenibile nella sua crescita.
Mario Draghi1

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato uno dei temi più discussi degli ultimi anni, presentato a destra e a sinistra come la chiave di volta della ripresa post-pandemica e la panacea di tutti i mali del Belpaese. Si tratta del documento che garantisce all’Italia l’accesso a 191 miliardi di euro del Recovery Fund (noto anche come Next Generation EU), divisi in una serie di tranche elargite tra il 2021 e il 2026. Il Piano articola, secondo le direttive europee, una ripartizione delle risorse in un programma di investimenti e una strategia di riforme, suddivise in sei Missioni. Si tratta di un progetto estremamente complesso (tanto che non di rado ha disorientato persino gli amministratori italiani) e con conseguenze su pressoché ogni ambito dell’economia e della società italiana.

È difficile dare una panoramica esaustiva di un’opera talmente vasta e ancora in fase di attuazione, anche se l’impatto che avrà su alcuni settori è già chiaro: la scuola sarà sempre più digitalizzata, prestazionale e subordinata al mercato del lavoro2; le aree interne saranno “valorizzate” in un vortice di estrattivismo, turistificazione, gentrificazione e opere inutili3; la sanità vede quasi tutti i fondi che le sono dedicati indirizzati a digitalizzazione e tecnologia4, con buona pace del tanto sbandierato eroismo del personale sanitario durante la “pandemia”. Riguardo alla transizione ecologica, settore che assorbe la quota più alta dei fondi, la proposta promuove lo stesso modello di sviluppo insostenibile che finge di voler cambiare5, ed è stato dimostrato come Eni ne abbia direttamente influenzato la stesura per continuare a guadagnare con gli idrocarburi mentre incassa finanziamenti green6. Per quanto riguarda i trasporti, il Piano punta principalmente sull’Alta Velocità7, parte di una lunga lista di opere dannose come l’ovovia di Trieste8 e la circonvallazione ferroviaria di Trento9. E mentre i piccoli comuni italiani rischiano la bancarotta10, il Parlamento europeo ha approvato tramite il piano Asap l’utilizzo del PNRR per la produzione bellica, al fine di garantire sufficienti armi e munizionamenti all’Ucraina11.

Un programma di riforme neoliberali

Una delle cose che colpisce del PNRR è che, al netto della incessante propaganda sulla “pioggia di soldi” concessi dall’Europa, da un punto di vista macroeconomico non pare decisivo. Si tratta di circa 200 miliardi — un quinto di quella che è stata la spesa pubblica italiana nel 2021, per intenderci — spalmati su sei anni e composti da una parte a debito e una a fondo perduto. Non così tanti soldi, da spendere secondo le indicazioni europe e in buona parte da restituire. Ma soprattutto i fondi del PNRR non sono condizionali solo alla capacità delle amministrazioni italiane di spenderli nei tempi e nei modi indicati, ma ad un esteso programma di riforme che l’Italia si impegna a realizzare. «I Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza sono innanzitutto piani di riforma», volti a «migliorare le condizioni regolatorie e ordinamentali di contesto e a incrementare stabilmente l’equità, l’efficienza e la competitività del Paese» e in particolare a «ridurre gli oneri burocratici e rimuovere i vincoli che hanno fino ad oggi rallentato la realizzazione degli investimenti o ne hanno ridotto la produttività»12. Si tratta, per la precisione, di 214 traguardi da raggiungere e 314 obiettivi quantitativi da conseguire per il tramite di 63 riforme e 151 investimenti, suddivisi in quattro ambiti principali: la riforma della pubblica amministrazione (PA), la riforma della giustizia, la semplificazione legislativa e la promozione della concorrenza13.

Chi ha analizzato le “raccomandazioni” europee rispetto a questo programma di riforme ne dà un quadro a dir poco preoccupante: 105 raccomandazioni per aumentare l’età pensionabile o tagliare fondi alle pensioni, 63 raccomandazioni per tagli alla spesa sanitaria o per la privatizzazione della sanità, 50 raccomandazioni per il contenimento della crescita dei salari, 38 raccomandazioni per ridurre la sicurezza sul lavoro, i diritti di contrattazione collettiva e le tutele contro il licenziamento, 45 raccomandazioni per ridurre il supporto a disoccupazione, disabilità e altre fragilità14. Il Recovery Fund è quindi uno strumento con cui l’UE vincola gli stati membri a una serie di riforme strutturali che altrimenti non potrebbe imporre. Alcune di queste raccomandazioni sono già diventate realtà: una delle riforme richieste, entrata in vigore nel 2021 con il decreto-legge 77/2021, prevede una deregolamentazione delle procedure di appalto. Questa modifica sarebbe motivata dal fatto che le norme vigenti sulla valutazione di impatto ambientale «ostacolano la realizzazione di infrastrutture e altri interventi sul territorio»15: vengono così smantellate una serie di tutele normative facilitando speculazioni edilizie, sviluppo urbano selvaggio, cementificazione, profitti mafiosi e opere inutili16. Un’altra misura legata al PNRR è il Ddl Concorrenza del governo Draghi, che apre alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici, in particolare dell’acqua, costringendo gli Enti Locali che non vogliono privatizzare a giustificarsi17 e favorendo un modello in cui la gestione dei servizi è in mano a grandi società quotate in borsa18. Con il decreto PNRR 2, invece, si erodono i diritti di chi lavora nel comparto logistico, esonerando le aziende committenti (e.g. Amazon) da ogni responsabilità del mancato pagamento dei lavoratori da parte degli appaltatori19. Ogni tranche del PNRR è condizionale all’implementazione di riforme come queste. Tra quelle che l’Italia si è impegnata a realizzare rientrano anche il riorientamento della ricerca pubblica verso il privato, una legislazione sugli alloggi studenteschi che favorisce la gestione privata, la presa in carico di strade comunali, provinciali e regionali da parte di ANAS e delle società concessionarie autostradali (che beneficeranno dei fondi stanziati per la manutenzione), il rafforzamento dei poteri del Commissario nelle Zone Economiche Speciali favorendo la deregolamentazione degli investimenti privati al Sud20, l’ingresso di aziende private nella gestione dei rifiuti, l’adozione di obiettivi di risparmio (ovvero tagli al welfare)21. Le risorse del PNRR, come se non bastasse, non possono essere utilizzate per finanziare assunzioni a tempo indeterminato, per cui il rafforzamento della capacità amministrativa italiana sarà realizzato con una massiccia precarizzazione dell’impiego pubblico.

Queste misure imprimono all’Italia un’accelerazione in senso neoliberale (austerity, deregolamentazione e privatizzazione), smantellando gli ultimi residui di stato sociale e preparando un terreno economico e legislativo su misura per le scorribande delle multinazionali e del grande capitale. In quest’ottica la quinta “missione” del PNRR (coesione e inclusione) servirà solo a contenere gli effetti più disastrosi della carneficina sociale che il Piano mette in moto. Da notare infine che il PNRR traccia un percorso politico che, salvo rotture di rilievo, l’Italia dovrà portare avanti a prescindere dai governi che si succederanno negli anni.

Dopo aver accettato di beneficiare dei fondi del PNRR veicolati dal progetto di rigenerazione urbana della Città Metropolitana di Firenze, Mondeggi Bene Comune, in un recente comunicato, ha ribadito il carattere «anticapitalista»22 del proprio percorso. Ma come si fa a parlare di anticapitalismo mentre si accettano dei finanziamenti il cui prezzo è una riduzione dei diritti dei lavoratori, l’austerity che impone tagli alla sanità e alle pensioni, la deregolamentazione che favorisce lo sfruttamento dei territori e la realizzazione di opere inutili e dannose? Come può un sedicente Bene Comune accettare di beneficiare di finanziamenti che sono condizionali alla privatizzazione di altri beni comuni come acqua ed energia23? Come si può celebrare come vittoria l’aver salvato Mondeggi dalla svendita e dalla privatizzazione quando questa vittoria è legata a doppio nodo alla svendita e alla privatizzazione della gestione dell’acqua, della sanità, delle strade? L’anticapitalismo è così ridotto a mero vezzo linguistico, un’etichetta dello stesso spessore del marchio “biologico” che abbonda sugli scaffali dei grandi supermercati, o tutt’al più sopravvive come una questione interiore, di etica individuale, ormai definitivamente scollata dalla realtà. Non a caso, nel comunicato, si suggeriscono la «presa di coscienza» e l’«autocritica individuale e collettiva» come principali pratiche di antagonismo e si arriva persino ad affermare che «interloquire con le istituzioni non può e non deve significare venire a patti con la nostra coscienza, rinunciare ai nostri principi […]». Insomma, a quanto pare la “coscienza” può essere conservata a prescindere da quello che poi, effettivamente, si fa (e con le istituzioni si è fatto ben più che interloquire). Ma nel momento in cui i princìpi perdono capacità di influenzare le scelte concrete, l’anticapitalismo diventa social washing.

Un progetto di accelerazione tecno-digitale

La pericolosità del PNRR non è data soltanto dalla ristrutturazione in senso neoliberale che opera tramite le riforme, vi è infatti un secondo fil rouge: il Piano organizza e finanzia con grandi quantità di debito pubblico un’accelerazione tecnologica senza precedenti che travolge ogni settore, dalla scuola, alla sanità, all’industria, all’agricoltura24. La distinzione tra pubblico e privato cessa di essere l’unico aspetto dirimente quando in entrambi i casi ad essere finanziate sono tecnologie digitali, automazione, data science, intelligenza artificiale, robotica, bio e nano-scienze25. «Lo sforzo di digitalizzazione e innovazione è centrale in questa Missione [Missione 1], ma riguarda trasversalmente anche tutte le altre. La digitalizzazione è infatti una necessità trasversale, in quanto riguarda il continuo e necessario aggiornamento tecnologico nei processi produttivi; le infrastrutture nel loro complesso, da quelle energetiche a quelle dei trasporti, dove i sistemi di monitoraggio con sensori e piattaforme dati rappresentano un archetipo innovativo di gestione in qualità e sicurezza degli asset (Missioni 2 e 3); la scuola, nei programmi didattici, nelle competenze di docenti e studenti, nelle funzioni amministrative, della qualità degli edifici (Missione 4); la sanità, nelle infrastrutture ospedaliere, nei dispositivi medici, nelle competenze e nell’aggiornamento del personale, al fine di garantire il miglior livello di assistenza sanitaria a tutti i cittadini (Missioni 5 e 6)»26.

La “pandemia” è stata il grimaldello che ha permesso di giustificare questo rilancio dell’assalto tecno-digitale che prende forma nel Green Deal europeo e nei suoi Piani Nazionali, presto affiancata nella retorica dominante dall’emergenza climatica. L’approccio alla base è il ben noto soluzionismo tecnologico: non esistono problemi sociali e politici ma solo problemi tecnici, che potranno essere opportunamente risolti facendo ricorso alla tecnologia, meglio se di ultimissima generazione27. Di crisi in crisi, ogni emergenza (più o meno fabbricata) è l’occasione per dare nuova spinta all’informatizzazione del mondo, orizzonte strategico del progetto industriale capitalista.

Il PNRR nei campi

L’esperienza di Mondeggi Bene Comune ha sempre avuto al centro l’autodeterminazione alimentare, l’agroecologia e un’agricoltura «contadina, locale, naturale e di sussistenza»28, per cui ci sembra rilevante analizzare le linee progettuali del PNRR rispetto al comparto agricolo. In questo settore, il Piano prevede quattro ambiti di investimento principali che rientrano nella Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica). Queste linee di investimento sono pensate per dare concretezza alle linee guida tracciate dalla Commissione Europea nella strategia From Farm to Fork, a sua volta pilastro centrale del Green Deal europeo, secondo la quale la «pandemia» ci ha finalmente fatto aprire gli occhi sulle «interrelazioni tra la nostra salute, gli ecosistemi, le catene di approvvigionamento, i modelli di consumo e i limiti del pianeta»29. Per rendere il nostro sistema alimentare più «sostenibile e resiliente» e difenderlo dalle costanti minacce dovute a siccità, inondazioni, incendi e organismi nocivi, la strategia è semplice: «gli agricoltori devono trasformare più rapidamente i loro metodi di produzione e utilizzare al meglio nuove tecnologie, in particolare attraverso la digitalizzazione, per ottenere migliori risultati ambientali, aumentare la resilienza climatica e ridurre e ottimizzare l’uso dei fattori produttivi»30. Insomma, i disastri causati dell’agroindustria (dipendenza da pesticidi e antibiotici, sprechi di cibo, obesità e malattia, eventi climatici estremi, impoverimento dei suoli, ecc.) sarebbero risolvibili affidandosi a un controllo informatico onnipresente, che razionalizzando l’uso di pesticidi e risorse renderebbe magicamente sostenibile il modello agroindustriale.

Nello specifico, l’intervento del PNRR in ambito agroalimentare si articola in quattro investimenti che hanno come obiettivo l’innovazione e la meccanizzazione, la logistica, la produzione di energia solare e la gestione idrica. In ciascuno di essi, il Piano eredita fedelmente le direttive europee insistendo sul binomio digitalizzazione-sostenibilità. In particolare, l’investimento M2 C1 – Investimento 2.3 – Innovazione e meccanizzazione nel settore agricolo e alimentare (sottotitolo: per un’agricoltura più efficiente e digitalizzata) finanzia con 400 milioni di euro «l’ammodernamento dei macchinari agricoli che permettano l’introduzione di tecniche di agricoltura di precisione (es. riduzione di utilizzo pesticidi del 25-40 per cento a seconda dei casi applicativi) e l’utilizzo di tecnologie di agricoltura 4.0, nonché l’ammodernamento del parco automezzi al fine di ridurre le emissioni (-95 per cento passando da Euro 1, circa 80 per cento del parco attuale, a Euro 5)»31. Il processo di meccanizzazione e industrializzazione dell’agricoltura decollato nel dopoguerra ha strategicamente fatto leva su un complesso di leggi e incentivi fiscali che, invece di facilitare gli investimenti necessari, hanno in realtà l’effetto di creare una enorme pressione sugli agricoltori spingendoli a rinnovare freneticamente i loro macchinari, acquistandone continuamente di più nuovi e più avanzati. Questo ha permesso di trasformare il settore agricolo in un portentoso mercato per i produttori di macchine, in maniera del tutto mirata: «Le autorità pubbliche programmano più che mai l’obsolescenza dei macchinari, stimolano la fuga in avanti tecnologica e prosciugano i fondi della previdenza sociale a favore dei fabbricanti che aumentano i prezzi e vedono così decollare i loro margini»32. In quest’ottica, il PNRR si aggiunge ai dispositivi fiscali già esistenti in Italia (come la Nuova Sabatini – che negli ultimi anni ha incorporato sgravi fiscali aumentati per tecnologie digitali e green) nel provocare questa escalation tecnologica, che ha nell’agricoltura 4.0 la sua ultima frontiera.

L’imperativo tecnologico viene giustificato dal mantra, ripetuto ossessivamente, secondo cui la digitalizzazione permette un efficientamento e un risparmio di risorse che garantiscono la sostenibilità della produzione. L’inganno è però presto svelato: la digitalizzazione è di per sé devastazione ambientale, sia per l’estrazione di minerali e terre rare sia per la produzione di energia elettrica che serve a tenere accesi i data center e a gestire il flusso sempre crescente di informazioni33. «L’agricoltura “di precisione” è un investimento a lungo termine nel processo di distruzione degli ambienti di vita, perpetuato dovunque sulla terra. La sua pretesa ecologica è una mostruosa menzogna, basata sulla quasi invisibilità sociale, in Occidente, delle devastazioni necessarie per la produzione e il funzionamento dei dispositivi informatici. Prendiamo l’ipotesi che la digitalizzazione agricola permetta di risparmiare sui pesticidi, sui fertilizzanti, sugli antibiotici, sull’acqua e sul petrolio nel lavoro dei campi: l’ipotesi al momento è del tutto ipotetica e potrebbe rivelarsi falsa in pratica. Questo progresso molto parziale verrebbe comunque pagato con una crescita vertiginosa della produzione dei marchingegni elettronici e dei consumi di energia elettrica necessaria per produrre, far circolare e archiviare i dati informatici. Eppure, una serie di importanti ricerche e rapporti pubblicati negli ultimi anni ci danno tutti gli elementi per capire che questa accelerazione dello sviluppo dell’industria digitale – spesso giustificata dalla chimera della “transizione energetica” – è assolutamente insostenibile. Al punto che alcuni sostengono che la tecnologia digitale diventerà il fulcro della catastrofe ecologica»34.

Ma l’informatizzazione non causerà solo un disastro ecologico. Essa porterà alle estreme conseguenze la perdita di competenze legate alla terra già ampiamente avviata con la meccanizzazione dell’agricoltura. Con la robotizzazione, il contadino (ormai imprenditore agricolo) esce definitivamente dal campo, affidando le proprie scelte al flusso di dati manipolati dall’intelligenza artificiale. «La perdita di competenze causata dalle precedenti fasi dell’industrializzazione culminerà con l’uso generalizzato dei computer e dei loro sistemi, esperti di ogni cosa: gli agricoltori sono spinti a smettere di affidarsi al proprio pensiero, basato sul tatto, la vista, l’olfatto, il “percepire” e a fare affidamento su automatismi per la quasi totalità delle loro analisi sullo stato della terra, del cielo e degli elementi che intervengono nelle loro coltivazioni. La perdita di intelligenza sensoriale che ne deriverà meccanicamente va di pari passo con la perdita di gusto delle verdure, della frutta e dei formaggi così prodotti»35. Infine, la corsa alla potenza tecnologica e alla robotizzazione continuerà a promuovere la diminuzione degli agricoltori e la concentrazione delle terre, per via delle economie di scala che favoriscono le grandi aziende e i grandi proprietari.

L’investimento M2 C1 – Investimento 2.1 – Sviluppo logistica per i settori agroalimentare, pesca e acquacoltura, silvicoltura, floricoltura e vivaismo sostiene gli investimenti di imprese, mercati all’ingrosso e porti per una logistica agroalimentare «più moderna e organizzata», «in un’ottica di decarbonizzazione e digitalizzazione»36. Obiettivo del Piano sarebbe un comparto logistico più sostenibile ma soprattutto più competitivo. Quando parliamo di rete logistica, parliamo del moloch che tiene in scacco la produzione di cibo sottomettendola alla produzione di profitto: la macchina logistica permette infatti a distributori e intermediari di accedere a prodotti provenienti da zone o paesi con alti tassi di disoccupazione e salari bassi, creando le condizioni concorrenziali che impongono ai coltivatori la corsa al ribasso dei costi di produzione. A causa della ristrutturazione logistica la distribuzione geografica della produzione di cibo avviene in base ai calcoli di profitto (legati principalmente a produttività e costo del lavoro) invece che in base ai bisogni della popolazione che abita i territori37. Alla macchina logistica moderna, che permette di spostare prodotti freschi come frutta e verdura su lunghissime distanze, vanno affiancati i trattati di libero scambio europei, come il Trattato di Lisbona, che impediscono qualsiasi politica di armonizzazione del contesto competitivo (vietando ogni tentativo di influenzare i prezzi, limitare le importazioni, applicare dazi). Questi due elementi, permettendo di produrre laddove il costo del lavoro legale è più basso, dove si può accedere a lavoro migrante informale, o dove le condizioni normative sono più favorevoli, sono stati fattori decisivi nel determinare le condizioni di competizione sfrenata che hanno portato all’attuale struttura del comparto agricolo, favorendo un crollo delle piccole e micro aziende agricole e la concentrazione dei terreni nelle mani di sempre meno aziende sempre più grandi38. Lo strapotere accordato dal sistema logistico a intermediari e distributori tiene in pugno la produzione alimentare anche delle aziende di dimensioni significative, che spesso sono costrette a vendere sottocosto e a dipendere dai finanziamenti europei per far quadrare i conti.

Contrariamente all’idea che una logistica più efficiente possa ridurre gli sprechi alimentari (obiettivo dichiarato del PNRR), l’intreccio fra ristrutturazione logistica e rivoluzione verde ha portato invece a un sistema di produzione di cibo con sempre più sprechi39, in buona parte dovuto allo strapotere dei distributori garantito dalla logistica. Quest’ultima è funzionale, inoltre, ad avvicinare la produzione di cibo al modello just in time, un sistema in cui i distributori emettono ordini last minute, le industrie di trasformazione sviluppano previsioni di consumo per anticipare le richieste dei distributori e i produttori sono portati tendenzialmente a sovraprodurre, anche a costo che parte del raccolto rimanga invenduto. Questo modello produttivo integra la digitalizzazione in campo, che con i sistemi IoT permette (almeno in teoria) di raccogliere all’occorrenza in base alla domanda e ad un monitoraggio informatico del grado di maturazione, con la macchina logistica, che fa arrivare il prodotto (magari già lavato o trasformato) sullo scaffale del supermercato appena ne viene fatta richiesta. Di fatto, è il settore agricolo stesso che deve «diventare logistico»40. Il prezzo di questa “efficienza”, oltre alla produzione di dispositivi digitali, è il traffico di migliaia di tir in un flusso costante che unisce i centri della distribuzione con i poli logistici.

Ci sembra a questo punto chiaro che l’applicazione delle misure previste dal PNRR per il comparto agricolo avranno conseguenze disastrose: effetti ambientali devastanti per la iper-produzione di dispositivi digitali, ulteriore perdita di competenza e autonomia degli agricoltori, ulteriore concentrazione delle terre in aziende sempre più grandi sotto la pressione della competizione resa possibile da un settore logistico ipersviluppato. La Carta degli Intenti di Mondeggi Bene Comune elenca fra i suoi obiettivi quello di «promuovere l’agricoltura contadina come strumento di autodeterminazione alimentare e salvaguardia del patrimonio agro-alimentare e sostenere un’agricoltura naturale nel pieno rispetto dell’ambiente, degli esseri viventi e della dignità umana»41. Gli investimenti previsti dal PNRR rappresentano un attacco diretto agli spazi in cui forme di agricoltura contadina e comunitaria possono sopravvivere e svilupparsi: difenderle non può prescindere dall’opporsi frontalmente al piano di digitalizzazione forzata della produzione di cibo e al suo ulteriore asservimento alle logiche forsennate del profitto e dell’industria.

Mondeggi 2026: degenerazione sociale, culturale e agricola

Il Sindaco di Firenze Dario Nardella festeggia l’inizio dei cantieri.
Che peccato! Da fattoria senza padroni a fattoria senza contadini, senza assemblea ed infine senza rondini. Ma in compenso molta edilizia e molta ristorazione come Firenze.
Tito42

Il progetto di riqualificazione della tenuta di Mondeggi si inserisce nell’ambito della Missione 5 del PNRR, Inclusione e coesione, e nello specifico è finanziato dall’investimento dei cosiddetti Piani Urbani Integrati, che prende di mira le periferie della grandi città con una «pianificazione urbanistica partecipata, con l’obiettivo di trasformare territori vulnerabili in città smart e sostenibili»43. Il progetto di rigenerazione di Mondeggi è, per i suoi promotori, un tassello fondamentale del Piano Urbano Integrato fiorentino, il Next re_generation Firenze 202644, che avrebbe lo scopo di promuovere il miglioramento di ampie aree urbane “degradate” attraverso azioni di rigenerazione urbana e rivitalizzazione economica. Il lavoro parte dagli obiettivi dell’Agenda Metropolitana 2030, che cala nel contesto locale le indicazioni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Dietro alla retorica su sostenibilità, comunità, benessere e inclusione si cela la perfetta continuità con le politiche di gestione della città neoliberale che hanno (dis)integrato Firenze negli ultimi anni. Il «Rinascimento Metropolitano»45 è infatti la nuova bandiera della stessa classe di politici e amministratori che hanno fatto di Firenze la città del turismo, del decoro, degli sfratti, delle mille telecamere smart46; la città che anticipava le zone rosse della gestione pandemica istituendo di sua sponte zone rosse a protezione dei cittadini “perbene”47, e in cui le fioriere valgono più delle persone48. L’insistenza sull’“inclusione sociale” non basta a cambiare la realtà di una città che è sempre più escludente e inaccessibile per chi non ha soldi da spendere, non si adatta alle maglie soffocanti del decoro, o sembra minacciarne la venerata sicurezza. È esplicita, infatti, la subordinazione di sostenibilità sociale ed ambientale al criterio economico49, ed il deserto sociale — rigorosamente partecipato — avanza a una tale rapidità che la volontà degli amministratori metropolitani di non «lasciare nessuno indietro»50 inizia a suonare sempre più come una minaccia: nella città smart di un futuro che ormai è qui non c’è scampo per nessuno. Mondeggi Bene Comune, partecipando al progetto, accetta di legittimare con il peso e la ricchezza della propria esperienza questo modello di città. Ma non lo diciamo noi, sono gli stessi autori del progetto di rigenerazione della tenuta ad affermare che Mondeggi «costituirà l’anima e il cuore pulsante di una nuova coscienza metropolitana incentrata sullo sviluppo umano sostenibile integrale, sia individuale che condiviso, per il futuro di tutta la Città Metropolitana di Firenze»51.

Le linee progettuali elaborate dai progettisti per la Mondeggi del futuro.

La proposta del team di progettisti incaricati dalla Città Metropolitana si compone di tre linee progettuali che articolano una serie di obiettivi e attività. Alcuni elementi sono in continuità con l’operato di Mondeggi Bene Comune, come la gestione collettiva di parte di oliveti e vigneti e la possibilità di condividere le strutture con i piccoli produttori locali o di utilizzarle per attività di formazione, condite però da un’ossessione per l’incremento del valore aggiunto. Ma grazie alle sue «infrastrutture resilienti», nella Mondeggi 2026 c’è spazio davvero per tutto: produzione e trasformazione agro-ecologica, opportunità socio-lavorative per soggetti vulnerabili, didattica diffusa, ricerca e impresa accelerata, ristorazione ed ospitalità etica, cura della persona e spiritualità, turismo slow, economie circolari, attività sportive open air, sviluppo umano sostenibile, valorizzazione di scarti agricoli, comunità energetiche, formazione di funzionari pubblici e tanto altro ancora. I sei casali della nuova Mondeggiland, con la loro sensoristica smart, la connettività a banda larga, e le stazioni di ricarica per e-bikes costituiranno il centro della «comunità “caring”», ovvero la sede di associazioni del territorio in grado di «sperimentare in primis nuovi modi di vita condivisa e nuovi modelli abitativi»52.

Nella distopia pacificata del Partito Democratico il welfare non è né autogestito né statale: il protagonista indiscusso del parco milionario è infatti il terzo settore, «luogo di travaso privilegiato di denaro pubblico in profitti privati, di occupazione precaria e ricattabile, nonché di composizione preventiva dei conflitti sociali nel segno della massima cancellazione dell’autodeterminazione del soggetto assistito»53. Mondeggi diventa così un «grande laboratorio a cielo aperto» di un nuovo modello di governance, in cui chiunque è ridefinito e inquadrato in un ruolo specifico: operatore, utente o visitatore. Non ci sarà neanche più bisogno di autogestirsi, dato che Mondeggi sarà luogo di sperimentazione degli Attivatori di Comunità. Queste “innovative” figure professionali, rigorosamente «qualificate e formate», sono «case manager» che «operano all’interno delle comunità per promuovere l’accesso ai servizi socio-sanitari di persone ad alto rischio di esclusione sociale favorendo processi di empowerment» e «guidare in maniera continuativa la costruzione e il perseguimento di un “progetto di vita” per la comunità locale stessa»54. Chi è stanco del faticoso lavoro di partecipare alla vita comunitaria sarà di certo sollevato nel poter affidare il proprio «progetto di vita» a questi professionalissimi manager, con buona pace dei trogloditi che ancora vogliono fare da sé senza lauree e qualifiche.

In occasione dello sgombero di una occupazione di Firenze, un comunicato di Mondeggi Bene Comune (ormai in trattativa con le istituzioni) esprimeva solidarietà ai compagni e alle compagne sgomberati55. La riforma del procedimento penale italiano programmata nel PNRR, però, contribuisce a rendere più celeri sfratti e pignoramenti delle case con modifiche che velocizzano l’espropriazione immobiliare forzata56 allo scopo di tutelare i creditori e la «competitività del sistema paese»57 (confluite nella riforma Cartabia). I fondi del PNRR, di cui Mondeggi Bene Comune ha scelto di beneficiare, sono elargiti dall’Europa a patto che diventi più facile sottoporre allo sfratto e al pignoramento della casa persone o nuclei familiari che non rispettano il pagamento del mutuo. La solidarietà a chi lotta per la casa in una Firenze sempre più svenduta a turismo e speculazione è quindi solo a parole, perché mentre una mano alza il pugno chiuso, l’altra accetta finanziamenti direttamente condizionali all’erosione del diritto all’abitare. Per non parlare dell’assist alla retorica “occupanti buoni e occupanti cattivi”, prontamente sfoderata dalle autorità fiorentine nel momento in cui la Fattoria Senza Padroni si è lasciata lusingare dalla legalizzazione. Nelle parole del Sindaco Nardella, Mondeggi è diventata infatti l’esempio virtuoso di un modello sociale di autogestione concordato fra istituzioni e occupanti, contraltare dell’illegalità di altri centri sociali abusivi che meritano invece sgomberi e repressione58. La storia si ripete, le occupazioni che scelgono la strada del recupero sottraggono terreno a tutte le altre e si prestano a diventare esempio della flessibilità e del progressismo delle istituzioni democratiche. Contano poco, a questo punto, le parole con cui provano a salvare la faccia.

Iperconnessi e sottomessi

Vogliamo credere che l’emergere delle cosiddette tecnologie 4.0 (“agricoltura connessa”) costituisca uno di quei momenti chiave che possono provocare una reazione significativa nella società. Sogniamo una risposta a questa offensiva robotica (droni, trattori a guida satellitare e intelligenza artificiale, algoritmi ai comandi nei capannoni…) che sia almeno degna di quella che scoppiò contro gli OGM, tra lo stupore dei tecnocrati, venticinque anni fa. Indagare, screditare, sabotare: chi vuole combattere con noi i robot negli anni 2020?
L’Atelier Paysan59

Per chi ancora non fosse convinto della portata nefasta di questo progetto, veniamo a una delle proposte centrali, quella di trasformare la Villa della tenuta in un «hub regionale strategico» per la ricerca e l’accelerazione di impresa focalizzate sull’innovazione tecnologica in ambito agricolo, rigorosamente green. La digitalizzazione e robotizzazione dell’agricoltura, che abbiamo visto essere ampiamente finanziate dal PNRR, avverrà quindi proprio a Mondeggi: «Il progetto prevede che parte dello spazio agricolo, serre, strutture tecniche e allestimenti sia affidato all’acceleratore, che in tal modo può offrire alle aziende sperimentali in ambito agri-tech non solo spazio per uffici e laboratori, ma anche gli spazi rurali esterni dove svolgere attività di coltivazioni sperimentali nel rispetto dei principi dell’agro-ecologia»60. Con buona pace dei suoi obiettivi dichiarati, Mondeggi Bene Comune sceglie da una parte di usufruire di fondi del PNRR, e quindi di rinunciare alla battaglia contro il progetto di informatizzazione forzata (in agricoltura ma non solo) avanzato dal Piano a livello nazionale; dall’altra, si prepara a convivere pacificamente con sperimentazioni di agricoltura 4.0 in situ. E vista la flessibilità con cui scienziati e imprenditori agri-tech potrebbero intendere il termine agro-ecologia, il rischio è che Mondeggi Bene Comune, che ora si proclama preoccupata dalla deregolamentazione dei nuovi OGM61, li troverà… nei propri campi!

«Attrezzature e attività», estratto dal progetto di rigenerazione. La rete di sensori wireless LoRaWAN sovrasta simbolicamente la Scuola Contadina.

Uno dei progetti più rappresentativi e significativi di Mondeggi Bene Comune è probabilmente la Scuola Contadina, un insieme di corsi pratici e gratuiti che spaziano dalla viticoltura alla panificazione, un esperimento di educazione popolare che risponde alla iper-specializzazione della produzione del cibo propria del modello agroindustriale con un invito a ri-collettivizzare i saperi contadini per nutrire comunità autonome e vicine alla terra. In maniera tristemente simbolica, nelle «attrezzature e attività» proposte dai tecnici per la tenuta del futuro, la Scuola Contadina appare sovrastata graficamente dalla rete di sensori wireless LoRaWAN. Questi sensori saranno dispiegati nei campi, nei boschi, negli invasi e nelle serre di Mondeggi, per una tenuta smart e dotata del proprio data center, alla modica cifra prevista di 750 mila euro (che si aggiungono ai 280 mila per altri impianti tecnologici come wi-fi e telefonia). Nella Mondeggi degenerata, la Scuola Contadina trova il suo posticino proprio a fianco del suo nemico giurato: la svolta digitale della (già drammatica) industrializzazione dell’agricoltura, i cui sensori, droni e robot si propongono di eliminare qualunque necessità per il contadino di conoscere e toccare la terra, costringendolo con incentivi e ricatti ad affidarne la gestione alle macchine e alla casta dei tecnici che le controllano, tutto ovviamente nel nome della transizione ecologica e di una natura che quelle stesse macchine contribuiscono a devastare. La Scuola Contadina, con il suo portato di critica radicale alla società industriale, non potrà resistere alla valanga di sensori dell’agricoltura 4.0 a meno che non si accontenti di diventare, alla stregua di certe riserve indiane, non più resistenza ma folklore. Nella civiltà cibernetica, la contadinità può sopravvivere solo come nostalgia romantica o reperto museale, forme che non mettono in discussione la razionalità tecno-industriale del dominio sulla natura. Tra chi promuove la colonizzazione tecnologica della produzione di cibo e chi difende gli spazi di autonomia e autodeterminazione alimentare legati al mondo contadino non c’è convivenza possibile: quello avanzato dal PNRR a livello nazionale e dalle istituzioni metropolitane nello specifico, è il medesimo programma di esproprio (violento e soft allo stesso tempo) delle capacità di individui e comunità di costruire, con le proprie mani, la propria vita.

Anche chi a Mondeggi ha scelto di partecipare a questo disastro ha storto il naso di fronte agli aspetti che abbiamo sottolineato fin’ora, rimanendo però dell’idea che Mondeggi Bene Comune avrebbe potuto portare avanti il proprio percorso anche all’interno di questa cornice istituzionale senza per questo snaturarsi. Se quello che abbiamo descritto finora non è sufficiente a dimostrare quanto questa fiducia sia malriposta, facciamo un’ultima considerazione che riguarda la futura gestione della tenuta. Sebbene i dettagli del futuro modello di governance, che si ipotizza basato su una Fondazione di Partecipazione, verranno definiti in una fumosa co-programmazione a venire, nel testo progettuale viene già anticipato che «La Fondazione di Partecipazione risponderebbe alla Città Metropolitana62, quale soggetto attuatore della rigenerazione della Tenuta di Villa Mondeggi, secondo linee guida annualmente concordate tra Città Metropolitana e Fondazione. […] La Regione Toscana potrebbe altresì partecipare insieme alla Città Metropolitana di Firenze alla cabina di regia di indirizzo delle strategie di sviluppo della esperienza di Mondeggi»63. Ecco in cosa consisterebbe, al netto delle specifiche modalità di implementazione, il «virtuoso esempio di democrazia partecipativa»: le redini restano in mano alle istituzioni, e i membri della Fondazione, previo pagamento della quota di partecipazione, operano in un perimetro definito dall’alto. Il raggiungimento degli obiettivi progettuali sarà poi quantificato e rendicontato con un «sistema di monitoraggio continuo e costante […] con riferimento alle performance di sviluppo umano sostenibile». Ecco che ogni aspetto del lavoro comunitario diventa «indicatore di processo e di outcome»: dalla quantità di prodotti agricoli «certificati», al numero di mercati contadini e di produttori che vi partecipano, al numero di «iniziative che favoriscano la filiera corta» e al numero di «cittadini sensibilizzati»; tutto sarà misurato e ottimizzato. Se l’autogestione è anche quel tentativo di ricomporre in modo organico i vari ambiti dell’esperienza umana che il mondo capitalista frammenta costringendoci a vite spezzettate, questo slancio si vedrà sottoposto a uno scrutinio degno della più demenziale mentalità burocratica e aziendalista, che si propone di dissezionare ogni aspetto dell’attività della Mondeggi futura. Qualunque spazio di manovra sopravviverà fra le linee guida delle istituzioni e le griglie di valutazione dei burocrati non potrà certo più chiamarsi autogestione, né soddisfare le esigenze di autodeterminazione di una comunità contadina in lotta. La Mondeggi degenerata, né Bene Comune e neanche più Senza Padroni, si incammina verso il suo futuro radioso di «esperienza armoniosa e modello replicabile generativo di soluzioni virtuose di sostenibilità, socialità, lavoro, stili di vita, benessere interiore e consapevolezza diffusa per il futuro del territorio metropolitano»64.

Ipotetico diagramma di governance. La Fondazione di Comunità dovrà rispondere alla Città Metropolitana di Firenze.

La gestione partecipata della catastrofe

Per quanto mi riguarda, penso che se questa lotta ha portato qualcosa a un immaginario di conflitto con lo Stato, il capitalismo, e tutto quello che li rende forti, questo contributo non è nel posto, nel potere materiale e nella sua conservazione, ma nelle pratiche e nelle domande che sono state messe in gioco.
Anonimo65

In un comunicato di Mondeggi Bene Comune dell’estate scorsa (giugno 2023) gli autori, si compiacciono di aver «inciso positivamente sul progetto, sia a livello di linee guida generali che a livello di progettazione esecutiva»66. E pensare che le intenzioni erano ben altre: nella Carta dei Princìpi di Mondeggi Bene Comune si esprime la volontà di «generare ricchezza diffusa (sociale, ambientale, relazionale) costruendo un’economia locale che si autosostiene, che conserva il patrimonio naturale ed edilizio e lo mantiene accessibile e fruibile, impedendo ulteriori sprechi di denaro pubblico» e «promuovere stili di vita sobri basati sulla pratica di forme di autocostruzione e autorecupero»67. Risulta lampante l’incompatibilità di questi intenti con una ristrutturazione di tutti gli immobili della tenuta per un costo di oltre 50 milioni di euro68. Ma la riqualificazione di Mondeggi, come speriamo di aver dimostrato, non è uno spreco di soldi pubblici qualunque. Si tratta dei soldi pubblici che vengono prestati a condizione che l’Italia si impegni in un programma di ristrutturazione neoliberale e cibernetica senza precedenti. È ipocrita o ingenuo pensare di poter partecipare a un progetto finanziato con il PNRR senza avallarne la logica di fondo, separando l’investimento locale dalla logica complessiva del Piano che seleziona e condiziona il progetto stesso. E se fosse possibile chiudere un occhio sull’origine dei finanziamenti (supponendo, ad esempio, che la riqualificazione di Mondeggi fosse finanziata con altri fondi), non si può eludere il fatto che il progetto di degenerazione della tenuta finanzia direttamente la tecnologizzazione dell’agricoltura oltre a riportare sotto il controllo delle istituzioni un esperimento di autogestione comunitaria. In un altro comunicato della Fattoria, nonostante la «posizione critica verso lo strumento PNRR», si esprime la volontà di «contaminare il freddo processo tecnico-amministrativo con i nostri principi» e di «vigilare sulle modalità con cui i soldi verranno spesi e ricadranno sul territorio»69. Magra consolazione, viste le ricadute devastanti che il PNRR ha avuto e avrà sui territori e sui loro abitanti, sapere che c’è chi crede di poter vigilare sulla catastrofe. È chiaro che pensare di poter accettare fondi del PNRR e allo stesso tempo tenere la barra dritta su un percorso politico che si vuole “anti-sistemico” richiede quantomeno una buona dose di acrobazie mentali. D’altra parte, non è certo nostro interesse andare in giro a bacchettare realtà che scelgono di collaborare con le istituzioni, di cui è pieno il mondo, o fare sterili polemiche con chi si attesta su posizioni riformiste. Mondeggi Bene Comune, però, anche a seguito di questa svolta, continua a mobilitare un linguaggio e un immaginario radicale mentre mercanteggia con i politici metropolitani. Lasciandosi riassorbire e sbandierare come fiore all’occhiello della riqualificazione green e inclusiva, l’esperienza diventa così funzionale alle logiche del potere, contribuendo a nascondere le vere conseguenze del PNRR. Invece di opporsi alla catastrofe, si contribuisce alla sua gestione partecipata.

Uno dei punti di forza dell’esperienza di Mondeggi Bene Comune è stato quello di raccogliere un’ampia solidarietà e complicità all’esterno del mondo “militante” attorno a pratiche conflittuali e illegali. L’atteggiamento tenuto dalle istituzioni fino al 2022 nei confronti dell’ampia compagine che chiedeva di vedersi affidata la fattoria e la stupefacente capacità di autorganizzarsi in modo informale dimostrata dalla Comunità negli anni hanno reso evidente anche ai più sinceri democratici che difendere la terra da svendita e sfruttamento non solo è possibile ma è proprio ciò che l’attuale sistema si sforza di ostacolare. La necessità del conflitto con lo Stato e i suoi governi locali diventava così palpabile e comprensibile per molti: se si ha a cuore la possibilità di soddisfare in comunità i propri bisogni fuori dalle logiche del mercato o dell’assistenzialismo bisogna essere pronti a strapparla con la forza, perché non verrà concessa dall’alto.

Per noi, la sperimentazione di forme di vita comunitarie e legate alla terra è il risultato di un insieme di tensioni personali e politiche, tra cui spiccano la necessità di garantirsi nell’immediato un certo livello di autonomia di vita fuori dai ricatti del sistema e la creazione di un repertorio di pratiche e possibilità di sopravvivenza a cui attingere nel mondo che speriamo di veder sorgere dalle macerie di questo. La maggioranza dei progetti agricoli comunitari però (vedasi la galassia degli ecovillaggi), si illudono di avere spazio per diffondersi pacificamente e immaginano il cambiamento come una semplice moltiplicazione di buone pratiche e sperimentazioni virtuose. Questi percorsi diventano così del tutto complementari e funzionali al mantenimento dell’esistente, perfettamente reintegrati nella logica neoliberale dalla quale si credono lontani. L’esperienza di Mondeggi Bene Comune, invece, nel procedere rapidamente all’occupazione, dimostrava fin da subito l’inevitabilità del conflitto. Questa intuizione si spegne ora nella fantasia di poter convivere con la controparte, addirittura contaminandola con le proprie istanze. Questa convivenza, se risulterà possibile, sarà solo la dimostrazione definitiva di aver esaurito qualsiasi intenzione o possibilità di incrinare l’esistente di dominazione e sfruttamento in cui viviamo. La convivenza pacifica non può che essere concessa da Stato e padroni al patto che si accetti di stare al proprio posto, e la svolta legale di Mondeggi Bene Comune può essere presentata come una vittoria solo invertendo completamente il dato di fatto: non è stata Mondeggi Bene Comune a imporre dal basso i propri termini con la forza della lotta, semmai il contrario. Spaventati dall’eventualità di uno sgombero e preoccupati solo della propria sopravvivenza, si è scelto di accettare ciò che pioveva dall’alto: soldi e guinzaglio insieme. Di fronte a un bivio cruciale, Mondeggi Bene Comune ha scelto al ribasso la strada della conservazione del proprio orticello, illudendosi di poter resistere come un’oasi. Ma nel deserto del «Rinascimento Metropolitano» non possono sopravvivere i germogli dell’autogestione e dell’agricoltura contadina, se non come miraggi.

Dall’altra parte la strada non presa, quella rischiosa ma vitale della resistenza: la scelta di avere fiducia nella tenuta dei propri legami, nella forza dei propri muscoli e nel valore di ciò per cui si lotta; l’intuizione che l’unica speranza di uscire dall’angolo in cui siamo confinati verrà dalle nostre capacità di esprimere conflittualità e difendere l’alterità radicale dei nostri percorsi, e che non beneficeremo dal cedere terreno, dal fare passi indietro pur di conservarci, dall’adattarci alle griglie soffocanti della controparte pur di non essere spazzati via. Questa strada avrebbe significato opporsi in toto ai progetti metropolitani, iniziare una mobilitazione contro il PNRR, prepararsi a resistere a un eventuale sgombero. Ci sentiamo di supporre che il coraggio di intraprendere questa strada avrebbe dato i suoi frutti, raccogliendo intorno a Mondeggi nuove energie. Qui avrebbero potuto trovare un punto di incontro un insieme di lotte che spesso procedono su binari separati: da quelle più legate al mondo contadino e all’autodeterminazione alimentare fino all’ecologia radicale e alle realtà urbane che si oppongono a gentrificazione, cementificazione, messa a profitto e gestione securitaria delle città — proprio perché la Mondeggi 4.0 raccoglie in sé tutte le aberrazioni di questa società in cui la crisi climatica giustifica la distruzione di nuovi ecosistemi, in cui fette sempre più ampie di popolazione sono marginalizzate a suon di inclusione e riqualificazione, o direttamente rinchiuse in casa nel nome della cura e del bene comune, in cui ogni problema aspetta solo la sua tecnologia (meglio se digitale), questa società in cui va di moda la gestione aperta e partecipata, ma in cui la smart control room70 è chiusa bene. Queste diverse prospettive di critica avrebbero potuto trovare a Mondeggi una battaglia specifica e comune, un terreno fertile in cui contaminarsi e rafforzarsi a vicenda, un punto di partenza per articolare un’opposizione sempre più puntuale ed efficace. Ma questa strada purtroppo possiamo solo immaginarla.

 

> SECONDA PARTE >

 


 

1. Conferenza stampa con Ursula von der Leyen a Cinecittà per l’approvazione del PNRR da parte della Commissione Europea, giugno 2021.

3. Manuel Oxoli (a cura di), NextGenerationEU, Recovery Fund, PNRR: La messa a profitto dei territori montani, Nunatak, state 2022. https://nunatak.noblogs.org/post/2022/09/18/nunatak-n-6-estate-2022/

4. Anonimo, PNRR: Piano Nazionale di Radiazione di ogni Resistenza (umana), 2021. https://ilrovescio.info/2021/10/21/pnrr-piano-nazionale-di-radiazione-di-ogni-resistenza-umana/

5. Capitalismo resiliente. Uno sguardo siciliano su estrattivismo e nocività del new green deal, opuscolo a cura della redazione di sciroccomadonie.noblogs.org. https://sciroccomadonie.noblogs.org/files/2022/05/CapitalismoResiliente.pdf

6. ReCommon, Ripresa e Connivenza. L’attacco dell’industria fossile al Recovery Plan, 2021. https://www.recommon.org/le-mani-del-settore-dei-combustibili-fossili-sul-recovery-plan/

8. La Burjana, L’ovovia a Trieste: i primi passi di una grande opera e il fronte dei boschi che si ribella. https://laburjana.noblogs.org/post/2023/09/04/lovovia-a-trieste-i-primi-passi-di-una-grande-opera-e-il-fronte-dei-boschi-che-si-ribella/

12. Governo Italiano, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 2021. https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf

15. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

16. https://coniarerivolta.org/2021/09/20/pnrr-una-nessuna-o-cinquecentoventotto-condizioni-parte-i/

25. Anonimo, Tesi sul Covid-1984, I giorni e le notti, 2021. https://ilrovescio.info/2021/09/05/tesi-sul-covid-1984/

26. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il corsivo è nostro.

27. Quando parliamo di tecnologia ci riferiamo ai frutti del mortifero complesso unversitario-militare-industriale. Crediamo sia possibile immaginarsi tecnologie conviviali, autodeterminate e adatte alle esigenze e alle risorse di piccole comunità, ma questo processo di liberazione hacker ed artigianale deve costantemente fare i conti con la non neutralità degli strumenti che manipola.

29. Commissione Europea, Una strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, 2020. Il corsivo è nostro. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1590404602495&uri=CELEX%3A52020DC0381

30. Commissione Europea, Una strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente, 2020. Citato in https://www.openpolis.it/gli-investimenti-del-pnrr-per-lagricoltura/

31. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

32. L’Atelier Paysan, Liberare la terra dalle macchine. Manifesto per un’autonomia contadina e alimentare, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2023. L’Atelier Paysan è una cooperativa francese che accompagna agricoltori e agricoltrici nel design e nella realizzazione di macchinari low-tech pensati per l’agricoltura contadina.

33. Collettivo terra e libertà, Dal fronte umano (II), 2023. https://terraeliberta.noblogs.org/post/2023/09/07/dal-fronte-umano-ii/

34. L’Atelier Paysan, op. cit. Il corsivo è nostro.

35. L’Atelier Paysan, op. cit.

36. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 2021.

37. Jasper Bernes, Il ventre della rivoluzione: agricoltura, energia e futuro del comunismo. In John Clegg, Rob Lucas, Jasper Bernes, Nutrire la rivoluzione. Cibo, agricoltura e rottura rivoluzionaria, Porfido Edizioni, Torino 2023.

39. Jasper Bernes, op. cit.

40. Wolf Bukowski, La logistica, l’agricoltura e il pantano. Il caso della bassa bergamasca, 2021. https://www.laterratrema.org/2021/04/la-logistica-lagricoltura-e-il-pantano-il-caso-della-bassa-bergamasca/

41. Mondeggi Bene Comune, Carta dei Principi e degli Intenti, 2014. https://mondeggibenecomune.noblogs.org/documenti/carta-dei-principi-e-degli-intenti/

42. Mail inviata sulla mailing list di Mondeggi Bene Comune da un membro dell’assemblea di Comitato, maggio 2024.

45. Città Metropolitana di Firenze, La Città Metropolitana di Firenze verso lo sviluppo sostenibile, 2022. https://www.mase.gov.it/sites/default/files/archivio/allegati/sviluppo_sostenibile/CM_Firenze_Agenda_Metropolitana_2030_Sviluppo_Sostenibile_2021.pdf

47. Lorenzo Guadagnucci, Le città negate alle persone “permale”, 2019. https://altreconomia.it/citta-negate/

48. Nel 2018, dopo l’omicidio di Idy Diene, il Sindaco Dario Nardella paragonò l’uccisione di Idy ai danni subiti dalle fioriere durante il corteo che aveva seguito la sua scomparsa, vedi: https://left.it/2018/03/06/il-senso-di-nardella-per-le-fioriere/

49. Testualmente, «è fondamentale che le dimensioni di sostenibilità ambientale, sociale ed economica vengano intese in un quadro sinergico e non di contrapposizione o trade-off».

50. La Città Metropolitana di Firenze verso lo sviluppo sostenibile.

51. Mario Biggeri, Giuseppe De Luca, Andrea Ferrannini, Carlo Pisano, Mondeggi. Rigenerazione sociale, culturale e agricola per una Città Metropolitana sostenibile, Firenze University Press, 2023. Questo è il testo di oltre 300 pagine sulla riqualificazione di Mondeggi. Ne sconsigliamo vivamente la lettura ai deboli di cuore. https://media.fupress.com/files/pdf/24/13659/38446

52. Mario Biggeri et al., op. cit.

53. Wolf Bukowski, La sinistra che trattiene. Parte prima: il capitalismo come religione, 2020. https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/12/la-sinistra-che-trattiene-parte-prima/

54. Mario Biggeri et al., op. cit.

57. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

58. Agli abitanti di un’altra occupazione fiorentina, Nardella avrebbe addirittura suggerito esplicitamente di «fare come Mondeggi».

59. L’Atelier Paysan, op. cit.

60. Mario Biggeri et al., op. cit. Il corsivo è nostro.

61. Col decreto siccità nell’estate 2023 l’Italia ha aperto alla sperimentazione delle cosiddette tecniche di evoluzione assistita, o TEA.

62. La subordinazione della eventuale Fondazione all’ente metropolitano era, seppur completamente prevedibile, omessa nelle versioni preliminari del progetto fornite alla comunità di Mondeggi Bene Comune durante il dialogo con i tecnici nel 2022.

63. Mario Biggeri et al., op. cit. Il corsivo è nostro.

64. Mario Biggeri et al., op. cit.

65. Anonimo, The “movement” is dead, long live… reform!, 2018. https://zad.nadir.org/spip.php?article5804

67. Carta dei Principi e degli Intenti. I corsivi sono nostri.

68. Il caso più eclatante è quello del capannone che, secondo i progetti, verrà abbattuto per poi essere ricostruito — alla faccia della sobrietà e dell’autorecupero!

70. Collettivo Sumud, Un organo che tutto controlla, un controllo che tutto organizza, 2023. https://www.infoaut.org/contributi/un-organo-che-tutto-controlla-un-controllo-che-tutto-organizza